L’uomo e le castagne

Chi si inoltra, oggi, per i boschi, avverte subito un grande disagio per la impraticabilità di buona parte dei sentieri, a causa delle ginestre, delle scope, dei rovi che sono cresciuti liberamente da quando l’uomo fu costretto, negli anni cinquanta, ad emigrare nelle città per un lavoro che gli consentisse una vita migliore. Quello stesso uomo che spesso si è “sfamato” con il dolce e nutriente frutto, raccolto con tanti sacrifici. L’abbandono delle selve si è verificato soprattutto nei paesi di montagna, specialmente dove è quasi assente la coltura del “marrone”, castagna pregiata che viene venduta a buoni prezzi. Quali, allora, le conseguenze? Prima fra tutte la non raccolta delle castagne, dovuta alla invasione del terreno di un fitto sottobosco che fa “sparire” i frutti. Ci sono poi da lamentare le malattie e la morte precoce di tantissime piante di castagno, per mancanza di “cure”. Non tutte le selve del Casentino sono, però, abbandonate. Nelle zone di Cetica, di Garliano, nel Comune di Castel San Niccolò, diversi anziani attaccati alla loro terra, provvedono alla cura delle piante e alla raccolta, seppure parziale, dei frutti. E la stessa cosa si può dire per Ortignano-Raggiolo e Castel Focognano. “Finché si dura noi vecchi – sospirano in molti – qualcosa si raccatta, ma poi andrà a finire che gli spini arriveranno anche alle porte delle nostre case”. E’ una amara prospettiva che ci auguriamo non trovi conferma nel futuro. Molte giovani coppie sono andate a vivere nei paesi di campagna e si avverte un ritorno, seppur timido, ai campi e ai boschi. E’ già un segnale di speranza.

Dopo questo preambolo, affrontiamo in breve l’argomento con l’intento di ricordare ai “vecchi” e di far conoscere ai giovani il rapporto che esisteva tra l’uomo e le castagne.

Ecco alcuni proverbi e qualche rima dei tempi andati: – Quando piove di giugno si seccan le castagne senza “fummo” (fumo) – Per San Michele (29 settembre) la succiola (castagna lessa) nel paniere – Per San Simone e Giuda casca l’acerba e la matura – Nel tempo delle castagne il porco ride e la pecora piange – Benedetta la castagna / e quel frutto che la mena / siam satolli io e la cagna / e la pentola è sempre piena.
A Montemignaio c’era una tradizione: Castagne per le anime del Purgatorio. Ogni proprietario di castagneti donava al parroco del paese una quantità di frutti in proporzione alla vastità delle selve possedute. Al termine della consegna delle castagne veniva bandita un’asta, alla quale partecipavano vari commercianti del Casentino. Il denaro ricavato veniva impiegato per la celebrazione di S. Messe in suffragio delle anime del Purgatorio.

Le castagne si possono “cucinare” in diversi modi. Con il frutto fresco e integro si fanno i “baloci” (castagne lesse) e le “brici” (bruciate o caldarroste). Con il frutto fresco e sbucciato si preparano le “tigliate” (marroni lessati in acqua salata con il finocchio selvatico secco). Con la farina di castagne si fanno: la “pulenda” (polenta), il “bardino” (castagnaccio), le frittelle. Le castagne secche si possono mangiare crude o lessate. La buccia tritata delle castagne, “zanza” (sansa), viene usata per coprire il fuoco per far bruciare la legna più lentamente senza diminuirne il potere calorico.
Vediamo ora i vari lavori che si eseguono prima, durante e dopo la raccolta delle castagne fino alla trasformazione in farina.
La prima operazione è la “rimunitura”, cioè la ripulitura del terreno, che ha inizio nel mese di settembre e che si protrae fino alla caduta delle castagne “primaticce”.
A questo lavoro si dedicano soprattutto gli uomini. Per mezzo di falci e pennati si tagliano ginestre, felci, scope, spini ecc., cresciuti dopo la raccolta dell’anno precedente. Con la zappa, si fanno, o si rifanno, le fossette nei punti di maggior pendenza del terreno per impedire ai frutti di “scivolare” nei castagneti confinanti. Il materiale tagliato viene accumulato in vari punti e poi bruciato.
Ogni quattro o cinque anni, da aprile a maggio, i castagni vengono puliti, cioè privati dei rami secchi e di quelli che non danno più frutti.

Veniamo alla raccolta delle castagne. Gli arnesi necessari sono: un paniere, fatto con stecche di castagno, una forcina di legno, alcuni sacchi di tela, la “pannuccia” (grembiule di tela), la “patanorcia” (sacchetto di ruvida stoffa che viene legato ai fianchi), la “viglia” (specie di scopa fatta con frasche di castagno).
Il vitto si limitava, fino a diversi anni addietro, a qualche fetta di polenta o di pane con un po’ di formaggio o di rigatino o salsiccia. Le bevande erano l’acqua o l'”acquarello”, ricavato dalla spremitura della vinaccia con aggiunta di acqua.
Durante la raccolta delle castagne, la giornata lavorativa andava da “buio” a “buio”, cioè si partiva prima dell’alba e si tornava a casa dopo il tramonto.
Giunti nel bosco, il gruppo dei raccoglitori, formato da uomini, donne e bambini, riempiva i panieri di castagne e ne travasava il contenuto, di volta in volta, nei sacchi di tela sistemati, qua e là, a ridosso delle piante. E così per lunghe ore. Non c’erano soste nemmeno per consumare i pasti: una fetta di pane o di polenta, con un po’ di companatico, una sorsata di acquarello, direttamente dalla “fiasca”, e … via. Il freddo e l’umidità non consentivano lunghe soste.
Al termine della giornata lavorativa si trasportavano le castagne ai “seccatoi” con l’aiuto di asini o muli; se le selve erano vicine, il trasporto era “umano”.
L’ultima fase della raccolta era la “ricercatura” che consisteva nel cercare le castagne rimaste sotto lo spesso strato delle foglie. Dopo la ricercatura c’era la “busca”: chiunque poteva andare liberamente in cerca di castagne in tutte le selve. La stessa cosa si fa per le noci dopo la “bacchiatura”. Va detto che in alcuni casi venivano fatte le “ricciaie”, cioè si ammucchiavano i ricci chiusi per poi liberarne le castagne servendosi di scarponi chiodati. Le specie di castagne più comuni che si producono in Casentino sono: marrone (la più pregiata), madistolla, raggiolana o roggiolana, pistolese, tigolese (quest’ultima, nelle zone di Garliano, Cetica, Quota, Raggiolo).
Le prime castagne raccolte erano quelle cadute lungo i sentieri, per non farle pestare e mangiare da muli, cavalli e asini che vi transitavano per trasportare legna e carbone, poi quelle che cadevano sulle strade camionabili e quelle cadute ai confini con le selve di altri proprietari.

Le castagne raccolte venivano portate, come detto, nei “seccatoi”, ubicati per la maggior parte vicino alle abitazioni o in mezzo alle selve di grandi dimensioni. I primi sono ormai quasi tutti scomparsi in seguito alla ristrutturazione delle vecchie case, mentre ne sono rimasti in piedi diversi di quelli nelle selve,anche se non in buono stato. I seccatoi erano costruiti in pietra, a due piani. Il piano terreno, con porta e finestra, ospitava il fuoco, mentre il primo piano conteneva le castagne che vi venivano gettate attraverso una finestrella.

La parte inferiore del seccatoio era divisa da quella superiore per mezzo di tavolette di castagno, le “scandole”, della larghezza di circa dieci centimetri e distanti tra loro un paio di centimetri. Questo spazio permetteva al calore del fuoco sottostante di giungere alle castagne ed era sufficiente per impedirne la caduta. Quando il pianale delle scandole era coperto (“accecato”) da uno spesso strato di castagne, si accendeva il fuoco al piano terreno. La legna era esclusivamente di castagno e si usava per lo più quella grossa, non adatta per il focolare domestico.
Si continuava a buttar castagne fino ad arrivare quasi al livello della finestrella. Il fuoco doveva essere continuamente alimentato per non compromettere la giusta essiccatura. Ogni sera, prima di andare a letto, uno della famiglia copriva il fuoco con la sansa di castagne dell’anno precedente per farlo durare fino al mattino.
Quando le castagne dello strato superiore erano asciutte, cioè non presentavano più tracce di umidità prodotta dal calore e dal fumo, si procedeva alla “rivoltatura”: per mezzo di pale di legno si trasferivano le castagne di sopra verso le scandole e quelle di sotto verso il tetto del seccatoio.

Le castagne erano secche quando “suonavano come campanelle”, tanto in superficie quanto in mezzo e in fondo. Allora si passava alla “pestatura”, cioè si liberavano dal guscio.
In tempi remoti questa operazione veniva effettuata a “trespolo”: le castagne secche venivano messe in una specie di vaso fatto con stecche di castagno e pestate con i piedi calzati da zoccoli chiodati. In seguito venne usata la “sacchetta”: si riempivano di castagne secche piccoli sacchi di tela molto resistente e si battevano ripetutamente e con forza sopra un ceppo di legno. Le castagne venivano poi messe in vassoi, anche questi di legno, e buttate in aria , ad una modesta altezza, per liberarle definitivamente della buccia e della pelle. Attualmente la pestatura viene fatta con un’apposita macchina azionata da un motore a scoppio. Le castagne secche e pulite venivano poste in granai dopo una accurata selezione: si scartavano quelle “bacate” e quelle non perfettamente secche, dette “passotti”.
Prima di portarle al mulino, le castagne venivano messe in un forno tiepido, generalmente quando la massaia aveva levato il pane. La macinatura si effettuava in appositi mulini .con macine di pietra azionate ad acqua. Il mugnaio era compensato con denaro o con la “mulenda”, cioè con una percentuale di farina in proporzione al peso delle castagne macinate.
L’ultima operazione era quella relativa alla conservazione della farina: si pressava in appositi granai, dai quali la massaia ne prelevava un po’ ogni giorno per la “pulenda”.
In Casentino esiste ancora un mulino ad acqua che macina esclusivamente le castagne seccate nei “classici” seccatoi: è il “Molinvecchio” di Pagliericcio dei fratelli Grifoni.
Concludiamo il nostro discorso sulle castagne con una nota positiva: alcuni produttori di Montemignaio e di altri paesi del Casentino hanno cominciato, e pare con successo, a praticare l’innesto di marroni su castagni sani e ne hanno già raccolto i primi frutti.


IL PANE DEI POVERI

Quassù le nebbie
sono veli trasparenti
nei mattini di novembre
quando sciamano
dai silenzi delle case
i raccoglitori di castagne
coi sogni spezzati
e le mani appena intiepidite
da una svelta fiammata di ginestre.
Muto è il cammino
nel baluginare tra i viottoli.
Monotono inizia il lungo giorno
per le scoscese selve
tra fruscii di foglie.
Tante agili incallite mani
colmano sacchi di fatica
che saranno pane
per il nevoso inverno.

 

Alboino Seghi da “LASSU’ E ALTRO” – 1985