Tradizione e consuetudini

L’ALLEGRA BRIGATA DE “I VECCHIONI”

Fino agli anni cinquanta Montemignaio era molto popolato. Per una vita decorosa delle famiglie, allora ricche di figli, occorreva lavorare sodo. La terra da coltivare era poca e i suoi frutti non bastavano per tutti. Nel paese mancava qualsiasi attività industriale, e quella artigianale si riduceva a tre o quattro falegnami, un decina fra calzolai e ciabattini, due fabbri e tre mugnai. E allora gli uomini erano costretti ad andare alla “macchia” a tagliar legna e a far carbone, abbandonando casa e affetti per otto o nove mesi all’anno, in varie regioni d’Italia. E che c’entrano i “vecchioni”, mi si potrebbe chiedere. Ecco la risposta: è quasi certo che i vecchioni sono “nati” proprio per dare un allegro e festoso saluto a quanti rimanevano a casa. Ed ecco un’altra domanda: chi erano i “vecchioni”? Erano giovanotti mascherati che desideravano divertirsi e divertire per non pensare, almeno per un giorno, al lavoro quasi inumano che li attendeva.
La gente del paese accoglieva con gioia l’allegra brigata nel suo girovagare di frazione in frazione nella vigilia dell’Epifania. Si diceva che i vecchioni erano di buon auspicio per l’anno da poco iniziato e la gente si preoccupava quando mancavano all’appuntamento annuale. Lo testimonia il detto “triste quell’anno che i vecchioni non vanno”. Purtroppo sono già diversi anni che non sono “andati”: speriamo che l’anno 2004 segni il ritorno di questa bella tradizione, anche se, e per fortuna, il lavoro del carbonaio è ridotto a qualche “inguaribile” nostalgico, magari un giovane che non vuole far morire il mestiere che ha sfamato tante famiglie in tempi difficili per tutti. Ma torniamo all’argomento. La tradizione vuole che i personaggi dei vecchioni fossero di sesso maschile. E si può capire perché a quei tempi le famiglie patriarcali non permettevano alle donne di partecipare a manifestazioni pubbliche con uomini. Durante le ultime uscite i vecchioni hanno accolto nel gruppo anche le donne, soprattutto giovani e belle. I pareri su questo cambiamento sono discordi. Le scene principali che si rappresentano nel girovagare nelle varie frazioni del paese vengono ancora interpretate da uomini.
Il personaggio principale delle sceneggiate è il “giudice” il quale ha il potere indiscusso di “condannare” chicchessia, con tanto di sentenza in versi satirici, a dare offerte.
Nei tempi andati le offerte erano generalmente in natura: fagioli, patate, castagne, uova, granturco, frutta, ecc. mentre nelle ultime uscite la gente ha offerto denaro. Durante le varie soste per le sceneggiate, le famiglie del posto offrono cibo e bevande, vino rosso per gli uomini e vin dolce o vinsanto per le donne a tutta la numerosa compagnia. Vediamo gli altri personaggi: la “signorina”, il “cancelliere”, che porta sulla schiena il grosso libro delle sentenze che vengono lette dal giudice, la “vecchia”, vestita da Befana, il “neonato”, “frati”, “preti”, “carabinieri”, eccetera.

La giornata dei vecchioni inizia di buon’ora con il raduno per la truccatura e per indossare i costumi. In questa fase c’è sempre un po’ di confusione e qualche rimprovero, ma la voglia di cominciare la bella avventura al suono di una fisarmonica mette tutto a posto. Appena pronti, i vecchioni partono e vanno, per strade e sentieri, in tutte le frazioni accompagnati da festosi applausi e strilli gioiosi di un folto stuolo di ragazzi al seguito. E così per tutto il giorno, anche quando è calato il buio. Durante il girovagare, nelle piazze e nelle piazzette si dà spettacolo: il neonato strilla e il dottore gli cava un dente, la vecchia ha le doglie e si butta per terra spasimando fino a quando la levatrice non le ha tolto dalla pancia un paffuto bambino. Le sceneggiate sono diverse durante la giornata per cui tutti i paesani, soprattutto i bambini, hanno modo di divertirsi.
Non resta che lanciare un appello ai giovani di buona volontà e con tanta voglia di divertirsi affinché riportino, per le strade, le vie e le piazze di Montemignaio, i “vecchioni” e con loro la sana allegria.

LA DICENDA

A Montemignaio non c’è nemmeno una pecora. Non è una battuta. E’ la realtà d’oggi. La stessa cosa si può dire per i muli, i cavalli, i “somari”. Non si vede nemmeno un “ocio”, il grosso palmipede che bastava da solo, cucinato in vari modi, per il pranzo della “battitura” del grano. In questo articolo ci occuperemo delle pecore, mansueti, ma non troppo, animali che fornivano ad ogni famiglia del paese latte e derivati, carne, lana, e un po’ di soldi che si ricavavano dalla vendita di qualche agnello.
Prima della forzata “migrazione” in città degli anni sessanta di gran parte della popolazione, tutte le famiglie che possedevano un po’ di terra avevano qualche pecora. Per condurre al pascolo le piccole greggi occorreva una persona per l’intera giornata. Il compito poteva essere affidato a bambini in età scolare, ma solo nel pomeriggio perché la mattina andavano a scuola, oppure si doveva “sprecare” una persona adulta che poteva svolgere un lavoro più redditizio, nei campi o alla “macchia” a far carbone. Si ricorreva talvolta ai vecchi, ma non tutti erano “affidabili”. E allora … nel 1894 il problema fu risolto con la “dicenda” (o vicenda?). Si trattava di formare ogni mattina un unico gregge di circa 150 pecore e di affidarlo, a turno, ogni giorno a due pastori. Il “regolamento” non fu mai scritto, perché a quei tempi contavano le parole dei “galantuomini”, come ci ha riferito il novantasettenne Tertulliano, per gli amici Beppino di Camerino. Ecco alcuni punti del regolamento. – Ogni famiglia doveva fornire un pastore per una giornata ogni due pecore possedute. – Le pecore venivano radunate in un luogo convenuto entro un’ora stabilita, secondo le stagioni. – Quando un proprietario di pecore non poteva rispettare il proprio turno, doveva scambiarlo con altri pastori o pagare chi andava per lui. – Non era consentito il pascolo nei campi, quindi le pecore dovevano mangiare nei boschi o nelle selve di castagni. In queste ultime c‘era il divieto di pascolo nel periodo della raccolta delle castagne e allora i vari proprietari affidavano, a pagamento, le pecore a qualche contadino. – Quando una pecora si smarriva, alla ricerca doveva partecipare anche il proprietario. – Se le pecore arrecavano danni in un campo seminato erano i pastori di turno a pagare. – Per le pecore “nuove” per la dicenda e per le agnelle occorreva una particolare attenzione fino a quando si erano abituate alla vita di “gruppo”. – Al rientro serale le pecore dovevano essere “satolle”. Se veniva accertato che avevano ancora fame, i pastori venivano aspramente rimproverati e diffidati. – Le capre non potevano prendere parte alla dicenda perché arrecavano danni mangiando i germogli delle piante dei boschi. – Se una pecora figliava durante la dicenda, i pastori dovevano tenere in braccio l’agnellino fino al rientro in paese. In compenso ricevevano una coppia di uova dal proprietario della pecora. – Durante l’estate le pecore smettono di mangiare nelle ore più calde e si fermano tenendo il muso rivolto verso terra. Questo intervallo, detto “meriggio”, serviva ai pastori, specialmente a quelli giovani, per dormire, per giocare, per mangiare in santa pace qualche fetta di polenta di castagne o un tozzo di pane con mezza salsiccia o con un pezzetto di aringa.
Al rientro in paese le pecore, che la mattina arano state accompagnate al luogo di raduno dai proprietari, tornavano da sole nelle stalle dislocate nelle varie borgate. Era uno “spettacolo” che meravigliava e divertiva i villeggianti che soggiornavano a Montemignaio durante l’estate.